Da Correggio a Caravaggio, la sorprendente parabola poetica di Bartolomeo Schedoni attraverso due dipinti emblematici

Alessandro Brogi
L'attività del modenese Bartolomeo Schedoni, ormai una delle voci più significative del primo Seicento pittorico italiano, si consuma tutta nell'arco di un quindicennio circa, tra 1600 e 1615. Ciò non impedì all'artista di compiere entro quel breve lasso di tempo una parabola espressiva di ampia gittata. L'articolo prende spunto da due opere, una su tavola e inedita, l'altra su tela e poco nota, entrambe di notevole impatto, per riflettere sulla portata di quel percorso. Certamente, ogni suggestione è tradotta da Schedoni in termini assolutamente originali. Tuttavia la sua prima fase, esemplata dalla tavola nuova, risulta plasmata nel profondo dall'esempio di Correggio e dai suoi sublimi 'affetti', esempio mediato attraverso la rilettura fornitane in gioventù, e dunque in tempi vicini a Bartolomeo, da un artista 'moderno' come Annibale Carracci. Quella estrema invece, lontanissima per sostanza poetica dalla prima e testimoniata a sua volta dalla tela qui illustrata, pare fin avvertire il richiamo dell'altro protagonista di quella formidabile stagione pittorica, ovvero Michelangelo Merisi, senza con ciò che Schedoni possa in alcun modo essere inserito nella ricca schiera dei caravaggeschi, restando sempre schiettamente se stesso.

Indice

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Raffaele Marrone Il Vecchietta, Francesco di Giorgio, Benvenuto di Giovanni e la pala dell'oratorio “di sopra” della confraternita di Santa Maria degli Angeli e San Francesco a Siena
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Victor M. Schmidt Una tavoletta di Bartolo di Fredi nella Galleria Nazionale dell'Umbria
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Andrea Daninos Cinque scultori per un ritratto. Contributo per Costantino de' Servi
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Jacopo Stoppa Sulla funzione della 'Maddalena' del Guercino nella chiesa delle convertite a Roma
vai all'articolo » pp. 85-94